Il diritto all’oblio

Cosa si può fare concretamente per tutelarsi.

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Il diritto all’oblio, ovvero il diritto alla cancellazione dei propri dati personali, ha assunto una rilevanza sempre maggiore in ambito europeo, già a partire dalla Sentenza Google Spain CGCE, Causa C-131/12.

Cosa vuol dire diritto all’oblio? 

Si tratta, letteralmente, del diritto a essere dimenticati, non soltanto un diritto alla rettifica, come nel caso di informazioni errate, bensì un diritto alla cancellazione dei propri dati personali su richiesta dell’interessato. Diritto ancora più rilevante oggigiorno, data l’enorme quantità di dati immessi sulla rete e indicizzati dai motori di ricerca, fruibili liberamente dagli utenti.

Il caso Google Spain 

Nel caso Google Spain, un cittadino spagnolo coinvolto in una procedura di riscossione coattiva di crediti
previdenziali, il cui nome era stato reso noto da un quotidiano spagnolo tra gli avvisi relativi a un’asta
immobiliare, oltre dieci anni dopo constatava come il suo nome comparisse ancora su Google Search,
rimandando alle pagine del quotidiano.


L’interessato si era rivolto prima al Garante della Privacy spagnolo e, alla fine, la Corte di Giustizia aveva
constatato che l’automazione con cui il motore di ricerca estrae, registra, organizza i dati attraverso
l’indicizzazione, per poi metterli a disposizione dei propri utenti, seppur sotto forma di elenchi di
risultati, fornendo una visione complessiva e strutturata delle informazioni relative a una persona, aveva
violato l’allora Direttiva 95/46/CE. In sostanza, qualora fosse giunta una richiesta di esclusione dell’URL
dall’elenco da parte della persona interessata, le informazioni e i relativi URL sarebbero dovuti essere
cancellati.



Cosa dice il GDPR?



La questione del diritto all’oblio è stata poi rimarcata, come noto, dal GDPR, sancendo all’art. 17:


Il diritto dell’interessato “di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo
riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali” se sussiste uno dei motivi elencati dalla disposizione stessa, come
ad esempio la revoca del consenso su cui si basa il trattamento dei dati, se i dati personali non sono
più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, se i dati
personali sono stati trattati illecitamente, etc. 

Nonché l’art. 21 GDPR sancisce il diritto all’opposizione, ovvero “il diritto di opporsi in qualsiasi
momento, per motivi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento dei dati personali che lo
riguardano, compresa la profilazione sulla base di tali disposizioni. Il titolare del trattamento si astiene
dal trattare ulteriormente i dati personali salvo che egli dimostri l’esistenza di motivi legittimi cogenti per
procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato oppure
per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.” 

Il diritto all’oblio non è un diritto assoluto e va bilanciato con altri diritti, come ad esempio il diritto
di cronaca, come evidenziato da una recente sentenza della Corte di Cassazione S.U. n. 19681/2019, per
cui il giudice deve valutare l’interesse pubblico, concreto e attuale all’identificazione dei
protagonisti di vicende passate.
Nel concreto, il diritto all’oblio consiste nell’essere dimenticati e nel non continuare a essere esposti a una
rappresentazione non più attuale che può emergere anche soltanto dall’indicizzazione google, da titoli
clickbait che possano suggestionare il lettore (qualora ciò non costituisca anche diffamazione) o che in
qualunque forma siano nella libera fruizione da parte del lettore, anche in forma di elementi eccedenti
rispetto a ciò che costituisce la notizia.

Il passare del tempo nel caso della cronaca, fa affievolire
l’interesse pubblico perché non è una situazione su cui è
necessario un dibattito pubblico, non costituendo più un tema
di attualità o un interesse pubblico. 

Quali sono i rimedi possibili? 

Ogni qualvolta un soggetto lamenti una situazione di violazione del proprio diritto alla privacy rientrante
nella casistica ex art. 17 GDPR, la soluzione più immediata è senz’altro richiedere alla testata
giornalistica/editore e/o a Google, la cancellazione e/o la deindicizzazione delle informazioni lesive del
proprio diritto all’oblio.
L’editore è tenuto a rispondere, anche soltanto mostrando il proprio diniego, l’eventuale opposizione può
far perno su esigenze di carattere storico, culturale, didattico. Tuttavia anche solo la mancata risposta
potrebbe comportare una sanzione per da parte del Garante della Privacy, oltre all’eventuale
risarcimento del danno del soggetto che ha fatto ricorso. 

Occorre poi valutare se sia necessario e idoneo un ricorso ex art. 700 c.p.c. che abbia effetti anticipatori al fine di rimuovere le informazioni lesive della privacy e del diritto all’oblio, in vista di un successivo giudizio a cognizione piena